Il manifesto politico del superuomo

 
"L'arroganza
 delle plebi non era tanto grande quanto la viltà di coloro che la 
tolleravano o la secondavano. Vivendo in Roma, io ero testimonio delle 
più ignominose violazioni e dei più osceni connubii che mai abbiano 
disonorato un luogo sacra. Come nel chiuso di una foresta infame, i 
malfattori si adunavano entro la cerchia fatale della città divina dove 
pareva non potesse  novellamente levarsi tra gli smisurati fantasmi 
dell'imperio se non una qualche magnifica dominazione armata d'un 
pensiero più fulgido di tutte le memorie. Come un rigurgito di cloache 
l'onda della basse cupidigie invadeva le piazze e i trivii, sempre più 
putrida e più gonfia, senza che mai l'attraversasse la fiamma di 
un'ambizione perversa ma titanica, senza che mai vi scoppiasse almeno il
 lampo d'un bel delitto. La cupola solitaria nella sua lontananza 
transtiberina, abitata da un'anima senile ma ferma nella sua 
consapevolezza de' suoi scopi, era pur sempre il massimo segno, 
contrapposta a un'altra dimora inutilmente eccelsa dove un Re di stirpe 
guerriera dava esempio mirabile di pazienza adempiendo l'officio umile e
 stucchevole, assegnatogli per decreto fatto dalla plebe. " 
G. 
D'Annunzio, Le vergini delle rocce, 1895
 
 
 
          
      
 
  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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